Le cucine a vista dei ristoranti mi hanno sempre colpito particolarmente.
Una finestra su di una fucina vivissima dove la materia viene raffinata o semplicemente lasciata essere.
Sabato mi sono affacciato su di una cucina di un ristorante al mare. Davanti a me una montagna di astici uno sull’altro e seduto a contemplarli in maniera malinconica un uomo anziano, lo chef. Barba bianca, occhi piccolissimi e un fazzoletto malamente annodato alla gola. La cucina in realtà non è il suo luogo di elezione. A cucinare sono due cuochi marocchini bravissimi mentre il vero chef, il fratello maggiore dopo anni di fornelli si è trasferito in sud america, fuma havana e beve solo calvados. Si sa il ristorante lo fa lo chef, ragion per cui è il fratello minore a sostituirlo, per intenderci quello che non è stato mai bravo a cucinare, quello a cui piacevano le moto e bighellonava con le ragazze tutto il giorno, ma ha avuto la sventura di essere molto somigliante al fratello maggiore.
Così se ne sta tutto il giorno in una cantina buia a dare la carica ad astici meccanici, sale in cucina solo per tranquillizzare i clienti e fargli credere che è ancora lui a cucinare.
Il suo sguardo si fa più malinconico ogni giorno che passa, beve di nascosto wisky sperando che la giornata finisca presto.
Io nel frattempo mi sono seduto, è arrivata l’orata e per prima cosa ho messo da parte le sue sue delicatissime guance, sorrido di gran gusto e ripenso a ginostra, alla chiesa e alla sua terrazza sul mare.