Ho avuto la possibilità di fare quattro chiacchiere a pranzo con Mario Ricciardi, che da 40 anni usa la materia, la manipola, la percorre come mi suggerisce sapientemente . Scultore, amante del bronzo, del legno d’ulivo, della terra-cotta ma soprattutto negli ultimi anni resine, poliuretani e materiali sintetici.
Quello che mi ha colpito subito è il suo divenire un fiume in piena quando racconta ciò che ha fatto, sentito durante la sua esperienza artistica. Discute con una passione vivissima lasciando intendere chiaramente il valore enorme che il suo lavoro ha ed ha avuto per sè stesso.
Partiamo dalla deriva nichilista che mi sembra inevitabilmente percorrere il suo pensiero rispetto all’arte ed all’essere artista.
Mi dice senza esitazione, che oramai maturo nella sua tecnica espressiva, ha imparato progressivamente a disimparare la tecnica, bisogna procedere per sottrazione mediante un agire che non mancherei di definire dimenticante, solo così ripudiando, rimuovendo, distruggendo quello che si sa fare tecnicamente ci si libera finalmente di orpelli inutili lasciando pervenire l’essenza stessa del proprio agire artistico, come un flusso immediato che travolge la materia. Indipendentemente dal fatto che si utilizzi il colore sulla tela o il bronzo colato nei calchi di cera a perdere.
Bisogna partire sempre da capo, come se nulla si fosse imparato, come se nulla si sapesse, come se si fosse sempre nudi di fronte alla materia.
Non vedo come non si possa rileggere in questa concezione una delle idee cardine che percorre la fenomenologia husserliana ovvero il concetto di epoché che si presenta essenzialmente come una sospensione del giudizio, un tentativo di mettere da parte se stessì nell’atto conoscitivo per far parlare finalmente le cose stesse.
Dice: “Bisogna dimenticare ciò che si sa fare, l’arte è una pratica assurda priva di scopi,
in un rapporto di assoluta fedeltà alla materia che non può essere tradita!”
Ed è proprio la materia il principio di tutto, ovvero il suo rapporto con essa.
Dice: “Mi interessa percorrere la materia, ma non amo i materiali poco malleabili come il marmo, preferisco il legno d’ulivo meglio ancora la terra-cotta che posso trattare sfruttandone al massimo la porosità che posso saturare con olii e colori”.
Mario ama cristallizzare e non modificare ciò che ha concluso attraverso un procedimento di sottrazione al tempo, alla consunzione della materia, che finirebbe per alterare il messaggio originario. Da qui il tentativo di bloccare il tempo, cristallizzare la situazione, fermarlo in maniera assoluta.
Nel frattempo siamo arrivati al caffè, dalla finestra si scorge un tetto di tegole di terra-cotta e Mario non manca di farmi notare che sebbene quelle tegole siano state posate lo stesso giorno alla stessa ora, ognuna di esse a contatto con il sole, la pioggia, il vento, la neve ha assunto un colore diverso da tutte le altre, effettivamente non posso far altro che confermare, ognuna di esse ha una sfumatura completamente diversa da quelle che le sono accanto.