compagni di classe

Il regista

L’ho incontrato per caso, dopo che per anni non ne seppi più nulla.
In un bar di periferia, emaciato, confuso, seduto ad un tavolo con un bicchiere davanti e circondato da persone mai viste, molto più grandi di lui. Gli occhi chiari si erano appannati, l’entusiasmo evaporato.
Confesso, stentai a riconoscerlo.
Ricordo benissimo quel ragazzo alto, che giocava a tennis dalle elementari, con uno swatch bianco e scarpe da tennis all’ultimo grido. Mi ha sempre fatto simpatia, un vero cultore dell’impossibile.
Al liceo si barcamenava tra intuizioni e studio della matematica, che non saprei dire quanto fosse frutto della sua fantasia e quanto riconducibile a reali ipotesi matematiche.
Aveva sempre avuto la passione per il cinema, ed i nostri pomeriggi trascorrevano tra la visione del Dott. Caligari e M – Il mostro di Düsseldorf passando per sorrentiniane e morettiane scorribande.

All’università alternava indicibili mal di testa ad esami di ingegneria, prima meccanica, poi dei materiali, poi gestionale, poi un giorno partì per milano per studiare regia così da un giorno all’altro.

Non lo vidi più, dopo che seppi che la scuola di regia era finita, ed era tornato a casa tentando la via del documentario sul sud, prima con echi gomorriani, poi sulle tradizioni marinaresche, poi più nulla….

Poi più nulla.

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