La crescita di un fenomeno quantitativo determina una ricaduta diretta sulla sua dimensione qualitativa.
Se come sostiene Hegel nella Scienza della logica, perdo un capello resto un uomo con i capelli, se perdo diversi capelli, divento un uomo calvo.
Questo principio è quanto mai evidente nel consumo di prodotti alimentari distribuiti dalla grande distribuzione organizzata.
Questo poter accedere in maniera pressòcchè illimitata ad un gran numero di prodotti agricoli, durante quasi tutte le stagioni, ha determinato immancabilmente un abbassamento vertiginoso della qualità di questi prodotti, che spesso sono praticamente privi di alcun sapore.
L’educazione al gusto che la GDO ha determinato ha completamente tagliato fuori il sapore originario del prodotto.
Tutto uguale e senza connotazioni organolettiche significative, ma accessibile sempre e durante tutto l’anno.
Stagionalità illimitata conduce al tramonto del gusto.
Maggiore è la produzione industriale minore sarà la qualità del prodotto.
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La cuoca dell’asilo
Ti vorrei ringraziare cara cuoca,
ti vorrei ringraziare per i tuoi gesti silenziosi, per il tuo lavoro quotidiano.
hai preparato merluzzo, ceci, verdure di ogni sorta, della gran pasta al pomodoro.
Ed i bambini felici si sono lasciati saziare da te, con gioia.
Macedonia di frutta o una semplice mela, è anche grazie a te che sono venuti su così i nostri bambini.
Il tuo grembiule bianco, la fascia tra i capelli, i tuoi occhi un poco tristi, ogni mattina una nuova colazione da preparare.
E loro ad aspettarti, mentre gli porgi un piatto pieno di cose buone.
Arrivederci cara cuoca, altri bambini ti aspetteranno lieti.
Carlo Rovelli su Heidegger
Gentile Prof. Rovelli,
Dopo la lettura del suo articolo sulla Lettura del Corriere della Sera, devo ammettere che sono rimasto abbastanza colpito dai suoi pensieri, che ahimè colgono solo parzialmente il pensiero heideggeriano.
Mi limiterò a mostrare i limiti dei suo discorso senza minimamente toccare il tema dell’antisemitismo e dell’ odiosa adesione al nazismo da parte di Heidegger perché meriterebbero una trattazione dedicata e puntuale.
Le fa certamente onore in qualità di fisico aver avuto il desiderio di confrontarsi con Essere e Tempo, e l’aver colto i punti cruciali del discorso heideggeriano relativi all’importanza della vissuto e all’esperienza dell’essere e la sua relazione con la temporalità.
Risulta però inaccettabile il pensare ad Heidegger come colui che attraverso Essere e Tempo abbia voluto esprimere certezze finali, o l’aver avuto idea di erigere punti di partenza assoluti.
La filosofia è per sua stessa natura contraria a qualsiasi forma di universalità, e va pensata esclusivamente come un’avventura del pensiero, priva di qualsiasi fondazione stabile ed imperitura. Altrimenti si tratterebbe di religione e non di filosofia.
Sul limitato punto di vista di un esserino che non riesce se non a pensarsi se non il centro credo che sia caduto in un profondo equivoco dettato forse da una lettura estiva superficiale di Essere e Tempo, come da sua palese ammissione. L’essere è essere nel mondo, In-der-Welt-sein e sarebbe impensabile senza il mondo in cui è immerso.
Mi permetta di citarle la sindrome dell’arto fantasma indagata da Merleau-Ponty, essa si verifica dopo la mutilazione di un arto. Il corpo vive una tremenda mutilazione di ciò che prima poteva raggiungere e che adesso gli è impossibile vivere. Quello che gli manca è proprio il mondo stesso.
Tralascerò le tematiche relative al linguaggio definito involuto, ampolloso e contorto caratteristica essenziale di Heidegger, nella profonda convinzione che il linguaggio rifletta le strutture del pensiero e quindi in questo caso rifletta la complessità del continente Heidegger.
Infine la prego, sullo sciamanesimo o presunto tale, lasciamo che le convinzioni della filosofia anglosassone con cui è venuto a contatto negli Stati Uniti restino negli Stati Uniti, paese che storicamente non ha certo mai brillato rispetto a prospettive o tematiche filosofiche.
Un cordiale saluto,
Umberto Tesoro
*I corsivi sono dell’autore dell’articolo C. Rovelli Natura e individuo. Un fisico a tu per tu con Heidegger, La Lettura 6 Dicembre 2020
Il regista
L’ho incontrato per caso, dopo che per anni non ne seppi più nulla.
In un bar di periferia, emaciato, confuso, seduto ad un tavolo con un bicchiere davanti e circondato da persone mai viste, molto più grandi di lui. Gli occhi chiari si erano appannati, l’entusiasmo evaporato.
Confesso, stentai a riconoscerlo.
Ricordo benissimo quel ragazzo alto, che giocava a tennis dalle elementari, con uno swatch bianco e scarpe da tennis all’ultimo grido. Mi ha sempre fatto simpatia, un vero cultore dell’impossibile.
Al liceo si barcamenava tra intuizioni e studio della matematica, che non saprei dire quanto fosse frutto della sua fantasia e quanto riconducibile a reali ipotesi matematiche.
Aveva sempre avuto la passione per il cinema, ed i nostri pomeriggi trascorrevano tra la visione del Dott. Caligari e M – Il mostro di Düsseldorf passando per sorrentiniane e morettiane scorribande.
All’università alternava indicibili mal di testa ad esami di ingegneria, prima meccanica, poi dei materiali, poi gestionale, poi un giorno partì per milano per studiare regia così da un giorno all’altro.
Non lo vidi più, dopo che seppi che la scuola di regia era finita, ed era tornato a casa tentando la via del documentario sul sud, prima con echi gomorriani, poi sulle tradizioni marinaresche, poi più nulla….
Poi più nulla.
L’ingegnere
L’ingegnere nasce ovviamente da un papà ingegnere ed una madre segretaria del padre. Affetto da una miopia devastante era accompagnato dai suoi fidi fondi di bottiglia, unici capaci di dargli uno sguardo sul mondo nitido, altrimenti naturalmente sfocato.
L’ho conosciuto alle scuole elementari, e non l’ho lasciato più fino al liceo.
Anni tormentosi dell’adolescenza, ragazzo altissimo e dall’andatura dinoccolata, il volto segnato dalle fide lenti, ed una sigaretta sempre in bocca dall’adolescenza.
A scuola non era particolarmente appassionato di nulla, avrebbe potuto fare qualsiasi cosa se il padre non fosse stato un ingegnere, eppure io l’ho sempre immaginato assicuratore. Cavilli, clausole contrattuali, note a piè di pagina che nessuno avrebbe mai letto, quello il suo mondo, una pacca sulla spalla e una biro pronta a farti firmare il contratto d’assicurazione, non conta il motivo, lui c’era a farti firmare la quietanza.
Vagamente destrorso ma non per convinzione, più per inerzia paterna, vagheggiava le gesta del duce con fare italico, capace di superficialità ed ingenuo patriottismo. La storia la studiava per capitoli, uno dopo l’altro lasciandoli scivolare velocemente, ma non si capiva bene cosa gli restasse fermo nell’animo.
Da grande non so cosa lui volesse fare, ma gli tolsero l’imbarazzo della scelta. Ingegnere era scritto nel suo DNA, esattamente come il padre, ingegneria navale, una disciplina nobile ed antica in una città dal prestigio portuale come Napoli.
La tesi di laurea fu scritta su modello di mille altre, sul tema di una traghetto ovvero nave passeggeri.
Non perse tempo, scopiazzando il progetto di una nave passeggeri scandinava degli anni ’80 riuscì a laurearsi solo 4 anni fuori corso, ma questo era un dettaglio visto che un lavoro allo studio ce l’aveva già.
Sinistri Navali, questo il sottotitolo sotto la placca d’ottone del suo studio.
Non l’ho più visto, nè sentito, ogni tanto mi torna in mente il suo viso da bonaccione che non ti avrebbe mai fregato, sigaretta alla bocca ed una giacca di montone marrone chiaro.
Das Boot
Nel 1981 esce il film Das Boot che in Italia viene distribuito come U-Boot 96, uno dei pochi film che abbia visto sulla seconda guerra mondiale, che abbia narrato la storia dal punto di vista dei tedeschi e non degli alleati.
Viene lanciata da Sky una serie tv, nel 2018 che riprende in parte il lungometraggio, e che ha il merito di raccontarci il volto di una guerra combattuta negli angusti spazi dei sommergibili, dove l’atrocità umana prende pieghe ancora più disastrose tra violenze sessuali, abuso di morfina ed esecuzioni della ghestapo in una Francia occupata dai nazisti che la usano come base per incursioni contro gli alleati.
Il tutto tra l’ammutinamento del secondo ufficiale, siluramento di navi mercantili inermi ed lo spettro di aver perso la guerra, che fa da contrappunto alla volontà di non arrendersi, ma rendere ancora più efferate le proprie azioni militari, la morte per la morte e null’altro.
Epica la scena in cui il comandante Hoffmann viene lasciato alla deriva, nel bel mezzo del Atlantico su un battellino gonfiabile, semplicemente in balia delle onde.
lamine plumbee di Iulia Concordia
Alla fine dell’ottocento furono ritrovate da Giuseppe Fiorillo, partenopeo che era a capo della Direzione Generale dei Musei e degli Scavi di Antichità, presso un un ponte completamente immerse nella melma dieci lamine plumbee con relativi graffiti.
Di queste otto hanno una natura eminentemente commerciale e due sono defixiones ovvero create per generare un maleficio.
Quale fosse la funzione di queste lamine è stato desunto chiaramente dal contenuto epigrafico, si tratta certamente di note di accompagnamento legate ai contenitori della merce descritta nelle medesime. Una sorta di etichette attaccate ai contenitori, di cui descrivevano il contenuto.
L’attenzione per questo tipo di reperti epigrafici è piuttosto recente, da un lato perchè queste lamine venivano spesso riutilizzate per cui vi erano tracce evidenti di cancellature, rendendo piuttosto lacunosa l’interpretazione delle medesime.
Dall’altro in quanto i riferimenti spesso erano relativi a personaggi ed eventi locali non facilmente decifrabili.
In sintesi le laminette plumblee ci raccontano di quantitativi di colla animale, di balle di lana, di una salsa di pesce di bassa qualità, allicium, prodotta con gli scarti del garum, di olio di mirra e di nardo.
Il motivo per cui sono particolarmente importanti queste rozze lastrine di piombo, è legato al fatto che nei pressi del canale in cui sono state rinvenute probabilmente vi era uno scalo commerciale fluviale, una sorta di interscambio fluviale in cui stoccare le merci provenienti da paesi lontani come certamente suggerisce il riferimento alla mirra o l’olio di nardo.
Questo documento eccezionale ha aiutato gli archeologi ad aggiungere un nuovo tassello alla forma urbis di Iulia Concordia.
I veri protagonisti dell’estate milanese
Mi capita spesso, soprattutto al tramonto di imbattermi in quelli che sono i veri e propri protagonisti dell’estate milanese. Una turba di anziani variopinti che incrocio soprattutto nell’atto di attraversare la strada.
Rigorosamente camicie a righine larghe bianche ed azzurre, cappello di paglia, scarpe di tela e bastone d’ordinanza.
In una estate caldissima, lasciano i loro appartamenti del centro solo dopo le 18, hanno superato gli ottanta e con una certa fatica provano a seguire esattamente il tracciato delle strisce pedonali.
Soli, nella loro profonda dignità di coloro i quali sanno che il tempo ha fatto il suo corso, segnati nel corpo, mi sembrano liberi, capaci di rigettare in maniera diretta quello che li infastidisce, non curanti finalmente della stupidità umana.
Nella pienezza del limite, governati da abitudini rigorose gioiscono al calare del sole dell’arrivo dell’ora di cena, diretti immancabilmente verso le proprie abitazioni.
Castelseprio uno spaccato di storia tardoantica
A 40 km da Mediolanum si trovano i resti di quello che fu il Castrum Sibrium ovvero una fortificazione costruita per difendere la direttrice Como- Novara dalle incursioni barbariche presumibilmente durante il V sec. d. C.
Perchè suscita tanto interesse quello che si configura in effetti come un modesto avamposto delle truppe liminari dell’Italia tardo-antica?
Le ragioni sono molteplici, da un lato quest’insediamento si configura come un perfetto esempio di Clausurae Augustanae ovvero un insieme di fortificazioni aventi lo scopo di proteggere l’italia settentrionale dalle scorribande dei barbari con tanto di presidi fortificati e turres speculatoriae.
Dall’ altro c’è l’interessantissimo riutilizzo delle strutture pagane in una chiave cristiana, la basilica di San Giovanni Evangelista ad esempio riutilizza una torre difensiva trasformandola in un vero e proprio campanile già a partire dal VI d. C. sec.
A tutto questo si aggiunge il fatto che come si presume la fonte battesimale ottagonale sia opera dei Goti, spesso dediti al culto di Ario, la faccenda si fa ancora più interessante in quanto nuovamente si getta luce su un periodo storico intricato fatto di lotte interne della chiesa e prime eresie.
Una piccola curiosità mi ha particolarmente colpito infine, durante lo scavo di un pozzo presso la basilica di San Giovanni, è emersa una piccola testa di terracotta con un berretto di fattura orientale (frigio?) allora immediatamente ho immaginato che la testina fosse stata lanciata nel pozzo dopo l’uccisione dell’imperatore Giuliano l’Apostata (363 d.C) ultimo tentativo di tornare al paganesimo in un secolo in cui si consolida in maniera definitiva, come unica religione ufficiale, il cristianesimo come sancito nel 380 d. C. dall’editto di Tessalonica ad opera di Teodosio.
il medico
Lo ricordo chiaramente quel ragazzo timido, sempre molto compito che osò leggere I Buddenbrook in seconda liceo. Nella sua cameretta di adolescente dal parquet chiaro, aveva un telescopio bianco puntato verso le stelle. Non ebbi mai il coraggio di chiedere esattamente cosa guardasse con quello strumento. Era magrolino, silenzioso, molto studioso ma non saprei se lo fosse più per soddisfare le aspettative di sua madre o per una sua autentica curiosità verso la vita ed il mondo.
Rideva poco, sempre ben vestito, anche se in maniera un pò conformista, scontata. Il suo unico atto di ribellione fu farsi regalare dai genitori una moto a 16 anni, si trattava di un custom e onestamente con la sua aria da primo della classe non fu particolarmente azzeccata a mio avviso la scelta di una moto cosi fuori dalle righe.
Non lo ricordo mai particolarmente partecipe della vita di classe, sempre seduto al primo banco, era un ragazzo intelligente ma abbastanza appiattito sulle convenzioni comuni.
Da grande seppi divenne medico esattamente come il padre, lasciò la sua città di origine come feci io e si trasferì per una strana emigrazione al contrario al sud invece che al nord.
Mi dicono abbia preso moglie, è un uomo felice adesso?
Questo mi sono chiesto diverse volte ripensando alla cerchia di persone che mi circondavano e che la vita
ha posto ad una immensa distanza da me.