Roma, città assediata dal tempo
Occhi inquieti, tratti forti, ma soprattutto la bocca tappata dal giallo limone.
Stanco di dire.
Ritratto di Giovanni Ricciardi
Ho avuto la possibilità di fare quattro chiacchiere a pranzo con Mario Ricciardi, che da 40 anni usa la materia, la manipola, la percorre come mi suggerisce sapientemente . Scultore, amante del bronzo, del legno d’ulivo, della terra-cotta ma soprattutto negli ultimi anni resine, poliuretani e materiali sintetici.
Quello che mi ha colpito subito è il suo divenire un fiume in piena quando racconta ciò che ha fatto, sentito durante la sua esperienza artistica. Discute con una passione vivissima lasciando intendere chiaramente il valore enorme che il suo lavoro ha ed ha avuto per sè stesso.
Partiamo dalla deriva nichilista che mi sembra inevitabilmente percorrere il suo pensiero rispetto all’arte ed all’essere artista.
Mi dice senza esitazione, che oramai maturo nella sua tecnica espressiva, ha imparato progressivamente a disimparare la tecnica, bisogna procedere per sottrazione mediante un agire che non mancherei di definire dimenticante, solo così ripudiando, rimuovendo, distruggendo quello che si sa fare tecnicamente ci si libera finalmente di orpelli inutili lasciando pervenire l’essenza stessa del proprio agire artistico, come un flusso immediato che travolge la materia. Indipendentemente dal fatto che si utilizzi il colore sulla tela o il bronzo colato nei calchi di cera a perdere.
Bisogna partire sempre da capo, come se nulla si fosse imparato, come se nulla si sapesse, come se si fosse sempre nudi di fronte alla materia.
Non vedo come non si possa rileggere in questa concezione una delle idee cardine che percorre la fenomenologia husserliana ovvero il concetto di epoché che si presenta essenzialmente come una sospensione del giudizio, un tentativo di mettere da parte se stessì nell’atto conoscitivo per far parlare finalmente le cose stesse.
Dice: “Bisogna dimenticare ciò che si sa fare, l’arte è una pratica assurda priva di scopi,
in un rapporto di assoluta fedeltà alla materia che non può essere tradita!”
Ed è proprio la materia il principio di tutto, ovvero il suo rapporto con essa.
Dice: “Mi interessa percorrere la materia, ma non amo i materiali poco malleabili come il marmo, preferisco il legno d’ulivo meglio ancora la terra-cotta che posso trattare sfruttandone al massimo la porosità che posso saturare con olii e colori”.
Mario ama cristallizzare e non modificare ciò che ha concluso attraverso un procedimento di sottrazione al tempo, alla consunzione della materia, che finirebbe per alterare il messaggio originario. Da qui il tentativo di bloccare il tempo, cristallizzare la situazione, fermarlo in maniera assoluta.
Nel frattempo siamo arrivati al caffè, dalla finestra si scorge un tetto di tegole di terra-cotta e Mario non manca di farmi notare che sebbene quelle tegole siano state posate lo stesso giorno alla stessa ora, ognuna di esse a contatto con il sole, la pioggia, il vento, la neve ha assunto un colore diverso da tutte le altre, effettivamente non posso far altro che confermare, ognuna di esse ha una sfumatura completamente diversa da quelle che le sono accanto.
Inutile sottolineare quanto l’opera del Ricciardi corrisponda ad un preciso transfert antropologico verso il primordio. Come negare alla sua produzione una solenne appartenza al tessuto concettuale di Vincenzo Gemito? Questi vuoti creati dalla materia hanno una densità che a tratti sfiora la pienezza.
Il suo percorso tocca l’informale, per poi ritornare con ricadute pensati, nel figurativo.
Le teste bendate sono oggetti fascinatori, opere metafisiche che esprimono lo spirito in senso assoluto. Ceramica bloccata in questo bianco pastoso che crea sfumature irripetibili, capaci di formalizzare la tragedia, attraverso un impianto informale esaltante.
La dea bendata qualsiasi cosa essa rappresenti è dilaniata, scomposta ma allo stesso tempo si prende gioco di chi l’osserva. Mantiene saldo il suo incrollabile spirito, quand’anche tutto stesse per sprofondare nell’abisso, continua imperterrita a sorridere, si perchè sotto quella benda conserva, anche se non vuole mostrarlo, uno sguardo carico di ironia e continua a volerci beffare.
Ci ho ripensato, dopo una corrispondenza privata con l’autore, rimodulo quello che penso.
Mi sono ingannato:
Caro Giovanni,
Secondo me le figure che hai creato non sono la rappresentazione della dea bendata.
Anzi io sono convinto che sono la migliore metafora dell’uomo
Un essere umano che affronta il mondo ad occhi chiusi, si misura con esso quasi inerme a tal punto che il mondo ne divora la testa (chi è bendato non può difendersi a pieno)
eppure quell’uomo ha ancora la forza di sorridere sapendo che tutto questo è ineludibile nel senso puro di non poter essere eluso, evitato.
Ceramica, legno di noce massello e ferro.
Pezzi unici realizzati a mano da Giovanni Ricciardi
Le azioni vanno giudicate non a partire dalle intezioni che le promuovono ma a partire dagli effetti che sortiscono (finchè gli effetti sono prevedibili) Max Weber
Le azioni anche se sono prive di effetto non per questo risultano prive di significato.
George Orwell
Il tentativo di descrivere un territorio ed i suoi confini, questo l’enorme merito di Giorgio Mortari, una mente lucida, consapevole dell’assoluta finitudine del suo esperimento come dimostra bene quest’intervista di qualche tempo fa. Nelle nostre conversazioni è sempre emerso lucidissimo il suo punto di vista rispetto alla cultura italiana che ruota attorno alla musica elettronica.
Mi diceva sempre: “Non possiamo non tenerne conto del fatto che la stragrande maggioranza dei giovani vuole solo fare festa”, mentre Dissonanze era il risultato di una ricerca precisa volta a scandagliare territori inesplorati, utilizzare il meraviglioso palazzo dei Congressi all’EUR per raccogliere le più interessanti derive della musica contemporanea.
Io ti ringrazio per il bellissimo lavoro che hai fatto in tutti questi anni, per la cura con cui hai tirato su Dissonanze, per aver dato un volto europeo ad una città come Roma che troppo spesso non è altro che la rappresentazione nefasta della cultura italiana.
Ti ringrazio.
Umberto Tesoro