ah ah ah, too much...

misto del marinaio ed altre tragedie

Un sabato pomeriggio vago felice con colei che tutto può, quando ad un tratto ci imbattiamo in un negozio quanto mai curioso. Entriamo ed un ambiente asettico e scialbo ci accoglie con pareti dai colori pastello che vorrebbero rassicurarci rispetto a quello che queste parti racchiudono ovvero enormi freezer-vetrine. Siamo al Picard di corso san gottardo di milano. Una signora gentile ci accoglie, ma dopo qualche curiosa provocazione che tiriamo fuori, cede sconfitta e quasi si vergogna di lavorare, dove effettivamente per necessità, lavora. I motivi? Molto semplici: si tratta di una catena francese che produce cibi surgelati già pronti. Si passa dal Misto del marinaio che per 1.99 euro ti da 125 gr di pomodoro, Cozze cilene, Gamberone indopacifico, Gambero rosso atlantico, Gambero indopacifico, Gambero rosso cinese, Mazzancolla tropicale, Gambero indiano, Vongole del Pacifico, cipolla, prezzemolo. Il mio occhio casca sui Filetti di Pangasio che mi danno occasione di scoprire cosa sia il Pangasio e dove vive. Ripenso ai Tortelli con Astice dove di astice leggendo bene c’è solo il 19% e mentre ripenso a cosa vi sia nel restante 81% mi trovo davanti la cosa più incredibile del mondo ovvero il Succo di Limone surgelato, a quel punto scappiamo via prima che la commessa ci proponga un prodotto a caso tratto dalla Pasticceria Individuale (chiamata cosi forse perchè devi essere così triste da essere solo come un cane per arrivare a mangiare un prodotto del genere?)

 

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too much...

ILLUMInazioni

 

La cosa incredibile della Biennale non è tanto il contenuto, ma il contenitore, ovvero l’arsenale della repubblica di Venezia. Gli spazi sono mervigliosi, le strutture portanti possenti, i muri fatti di mattoncini rossi scrostati i pavimenti originali, insomma io andrei alla biennale anche solo per poter stare in quello spazio. Tralascio il padiglione Italia che al di là di qualsiasi dignità concettuale pensata dal curatore, mi è sembrato un magazzino dove le cose (sicuramente volutamente) si presentavano in maniera confusa ed accatastate l’una all’altra, a quel punto avrebbe avuto forse senso rimuovere anche i nomi degli artisti produttori dei singoli pezzi, per generare finalmente  un caos indistinto che forse avrebbe avuto maggiore dignità. Usciamo all’aperto per prendere un pò d’aria e subito notiamo degli avvoltoi (forse gabbiani) che girano affamati nel cielo, strepitano, reclamando le carcasse degli artisti?

Io non so, probabilmente ha ragione Cattelan, ad un certo punto bisogna avere il buon gusto di smettere di fare l’artista e dedicarsi ad altro, o perchè no, abbracciare un cammino di fede e speranza (ecclesiale?). Sta di fatto che i 2000 colombi impagliati a me sono piaciuti. Se non fosse per altro che ci ricordano che tutti gli sforzi di tenere lontano lo sgradevole sono vani. L’arte alla biennale non è salva dalla merda dei piccioni. Oppure semplicemente dobbiamo accogliere i piccioni perchè per quanto ci si possa sforzare di tenerli lontani prima o poi ciò che esce dalla porta finisce per rientrare dalla finestra.

Ad ogni modo mi è piaciuta una cosa e l’ho fotografata. Un cartello che appoggiato a terra indica una direzione. Se l’arte per dirla con Artaud non ha altra funzione se non quella di far uscire dall’inferno l’artista attraverso il processo ideativo e la realizzazione pratica, mi piace pensare che la si possa quanto meno relegare alla possibilità di indicarci una direzione, una via, qualunque essa sia basta che mi porti lontano da esercizi di stile e operazioni volte a stupire. A me stupisce la natura, non la sua imitazione a cui si finisce per conferire il nome di arte.

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ah ah ah

4 possibili modi di presentarsi a casa dei genitori della propria fidanzata

Mi sono sempre domandato, ma quando si è invitati dai genitori della propria fidanzata a cena bisogna presentarsi proprio come se stessi? Non è possibile proporre delle piccole varianti? Enumero quelle che mi vengono in mente:

  1. Il mio sogno: presentarsi in abito talare. Per la precisione con la talare romana: maniche lunghe, stretta fino alla vita come una giacca, prosegue fino a terra svasata e più ampia; il tutto chiuso da una striscia di trentatré bottoni sulla parte anteriore (trentatré come gli anni di Cristo), che va dal collo ai piedi; inoltre ha dei “manicotti” in fondo alle maniche con altri cinque bottoni (cinque come le ferite di Cristo in croce) . Particolare attenzione meritano ovviamente il libro che si porta con sè: su questo punto proporrei Le Epistole di San Paolo ( se non altro per dare un pò di speranza ai genitori).
  2. In costume da filosofo: il più possibile somigliante a Talete. Con tunica bianca e soprattutto bussando alla porta di casa, con fare trasognante, si escamerà: “Dove è il pozzo?”.
  3. In divisa da carabiniere, allorchè bussando alla porta si possa dire: “Chiedo scusa ho sbagliato indirizzo”.
  4. In evidente stato confusionale appena sceso da un’ambulanza esclamando alla porta: “Mi scusi signora, mi indica la via più breve per arrivare al mare?”
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marinai, profeti e balene

Il sogno si sa, è il luogo dove la logica perde significato, prende una nuova forma e l’impossibile diventa possibile.
Capossela mette in scena un sogno, e lo fa direttamente dal ventre di una balena. Una sorta di enorme caverna in grado di dare riparo ai naufraghi in balia delle onde.
Un sogno fatto di fiocine, schiuma, flutti, scampati ai naufragi, ballate di marinai, rum, tabacco, conchiglie, fuochi fatui, esecuzioni ingiuste, sirene ed indovini. Fanno da sfondo al racconto: Moby Dick, Celine, Omero, conditi da una teatralità affascinante, luci ed ombre, che finiscono per suggestionare in maniera intensa.

Gli ormeggi sono stati mollati, la nave parte, inizia la navigazione ed i marinai hanno già nostalgia delle loro mogli, li attenderanno sirene, tempeste, balene ed il leviatano ma anche la bonaccia e la volontà di riassaporare il profumo della terra.

Vira marinaio! Il vento è favorevole si salpa!

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l’ubicazione del bene

A distanza di due anni dalla lettura di quello che onestamente è il libro italiano più bello che abbia letto negli ultimi anni, mi decido a pubblicare queste poche righe di commento ad un’opera sagace, lucida capace di restituirci come non mai, l’angoscia della ricca urban sprawl che la media borghesia italiana sta costruendo attorno alle grandi città.

Il linguaggio riflette la struttura del pensiero, questo fatto è assolutamente evidente nella tagliente collana di racconti di Giorgio Falco. Un linguaggio sbiadito, dalla sintassi elementare, che finisce per riflettere in maniera nitidissima il vuoto della nuova periferia milanese, in cui la piccola borghesia sempre più impoverita si è rifugiata tentando di scappare dalla città.
Nove racconti brevi, il cui filo conduttore è da un lato il luogo: Cortesforza non-luogo di nuovissima costruzione a 18 km da Milano, tessuto urbano senza storia e scarsissima dignità architettonica la cui unica funzione è quella di fare da sfondo ad esistenze sbiadite vittime della contingenza economica ineludibile e che non lascia scampo. L’altro elemento conduttore è il vuoto. Un vuoto fatto di villette a schiera per cui ci si è dovuti indebitare per il resto della propria vita. Ma anche il vuoto di esistenze che non trovano compimento, che si dibattono accompagnate da un avere smesso di aspirare alla felicità tendendo verso un possibile quanto deludente surrogato. Fa da sottofondo il rumore di asciugatrici che non riusciranno mai a fare il lavoro del sole e del vento, prato inglese ingiallito e collinette artificiali costruite per movimentare il paesaggio piatto della campagna lombarda.

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fughe e approdi

Il documentario di Giovanna Taviani mi ha suggestionato subito, sin dal titolo: Fughe ed Approdi, due momenti in cui nolenti o volenti, si finisce per allontanarsi o avvicinarsi a qualcosa. Se a tutto questo si aggiunge l’effetto che le isole eolie hanno avuto sempre su di me, la miscela è potenzialmente esplosiva. Il documentario purtroppo però è un accozzaglia di episodi storici (il confino fascista di Lipari e la storica fuga di Rosselli), episodi legati alla storia del cinema, che vedono protagonista le eolie, accennando storie anche interessanti, ma purtroppo è colpevole dell’aver solo abbozzato ritratti e questioni che forse meritano un approfondimento più incisivo. A tutto questo si somma la descrizione di scenari antropologico-culturali di vago sapore etnografico, il risultato divene confuso, poco organico dal punto di vista narrativo e a tratti arraffazzonato. La fotografia poi a me personalmente, sembra sbiadita, forse volutamente, ma risulta poco espressiva tranne poche scene (penso alle cave di pomice). Insomma cara Giovanna, non vorrei apparire troppo duro ma a parte due episodi: quello di tuo padre che spiega come i campi lunghi siano l’espressione del rapporto uomo-natura e quello delle donne di panarea che raccontano in maniera vivace dell’esperienza delle fattucchiere che si liberano nell’aria nelle silenziosissime notti di Panarea, il documentario è piatto, di maniera, senza slanci e questo a mio avviso è davvero un gran peccato.

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