Caro cuoco,
Quando mangio l’aglio voglio sentire il suo sapore, forse voglio persino che mi dia fastidio, perchè altrimenti non sceglierei i pici all’aglione ma una un’altra delle tue proposte!
Author Archives: existenz
Norbert Niederkofler
Mi sono imbattuto per caso in una serie di spot della Miele il cui protagonista è lo chef Norbert Niederkofler
La serie di spot tocca diversi temi, la tutela della tradizione, l’importanza della materia prima, il recupero di sapori antichi, ma che la necessità di lasciare la propria terra per poi ritornarvi per poterne apprezzarne a pieno le caratteristiche.
Un esule che parte per la terra straniera, lascia la propria valle, le case di legno, la sicurezza che infonde il muoversi nei luoghi familiari per la curiosità di sapere cosa vi sia dietro quella catena montuosa e quel filare di abeti.
Norbert quando parla del filetto di cervo ci ricorda che per cucinare la carne bisogna conoscere le abitudini degli animali, saper interpretare la stagionalità ed i luoghi in cui si muove.
Quando poi ci racconta del Salmerino chiacchiera amabilmente con un pescatore, caro Norbert ma io mi aspettavo che almeno fossi tu ad andare a pescare al lago il nobile salmerino….
extemporaneus
Estemporaneo, letteralmente dal latino ex-tempore ovvero all’improvviso, senza preparazione, senza premeditazione.
L’idea di raccogliere degli spunti di riflessione individuali, senza una preparazione non vuol dire sconfinare in ambiti del sapere di cui non si conosce nulla, bensì proporre degli spunti intuitivi, a-processuali su cui non si ritorna meccanicamente ma che proprio in quanto intuizioni mantengano una viva freshezza.
Sull’assenza di premeditazione aggiungerei semplicemente che proprio in quanto ragionamenti non-mediati, sputati fuori hanno una potenziale carica rischiaratrice esattamente come un fulmine fende il buio della cupa notte lasciandoci per qualche istante intravedere chiaramente il mondo.
Una sfida che ci porti ad intendere l’estemporaneo non semplicemente come l’opposto di pensato, studiato o preparato, ma come un immediato, che prediliga il non-processuale, l’intuito con tutta la sua viva ed acerba carica conoscitiva.
Youth
Finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c’è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L’emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo.
Questo è un passaggio estratto dalla Grande Bellezza, e sintetizza in maniera impeccabile il senso di Youth con un solo passaggio ulteriore, in Youth i sentimenti si fanno più espliciti, escono allo scoperto.
In Youth la vera protagonista non è la giovinezza come suggerisce il titolo, ma la morte.
Momento in cui si finisce per dover fare i conti con ciò che si è stati, finiti i clamori e gli entusiasmi giovanili, il corpo inizia a vacillare a cedere ed allora solo allora si inizia a sentire veramente la vita. Inizia il percorso di preparazione alla fine più o meno consapevole.
Ma è anche il momento in cui si esacerbano i propri difetti accentuandosi in maniera sproporzionata.
Il film è frammentario, anti-narrativo, esattamente come un opera pre-socratica, anti-sistematica e volto a gettare la luce con sprazzi illuminanti.
“Il fulmine governa tutte le cose” dice Eraclito, i bagliori del lampo fendono l’oscurità e consentono di vedere per un istante come stanno veramente le cose.
Sorrentino scaglia una serie di lampi mostrandoci pieghe dell’animo umano più o meno celate.
Suggestioni suggellate da una fotografia di Bigazzi che come sempre è maniacale ma meno barocca del solito.
Una cosa però mi ha sorpreso molto, al di là della contrapposizione apatia (Micheal Caine) desiderio assoluto di emozioni (Harvey Keitel) giocano sullo sfondo (mica poi tanto sfondo) i sentimenti espressi e spiattellati come l’astio di Rachel Weisz nei confronti del padre, Hitler zoppo e con la tosse stizzosa, una maschera della sconfitta, il riferimento a Novalis.
Frammenti, buoni come intuizioni per chi ricerca il senso delle cose.
Pagina Facebook Toto Cutugno
Sulla stampa nazionale si è creato un piccolo caso relativo all’esistenza di una pagina Facebook dedicata a Toto Cutugno che posta tutti i giorni la stessa foto del noto cantante.
Ne ha parlato il Corriere della Sera ed anche l’Huffington Post. Al di là delle spiegazioni relative ad esperimenti, fornite dalla stampa c’è un interessantissimo elemento che fa da sfondo alla vicenda.
La ripetizione quotidiana della medesima foto è di per se stessa elemento rassicurante che garantisce lo stato di buona salute del cantante, e cristallizza l’istante riproponendolo all’infinito.
Il tempo è azzerato, immobile, superato. Vinto dalla riproposizione dello stesso scatto fotografico.
Facebook esperienza diacronica per eccellenza finisce mediante l’utilizzo di questo espediente per distruggere la diacronia e proporre un istante identico, ripetizione che scardina irrimediabilmente il flusso temporale garantendo la rassicurante immobilità di Cotugno.
I do not need a guide
Da qualche tempo mi sono imbattuto in un blog che sembra riscuotore un certo successo nell’ambito della ricerca artistica http://ineedaguide.blogspot.it, la sorpresa sta nel fatto che esista la necessità di una guida, una indicazione di gusto, nel mare magnum dell’arte.
Il logo stesso del blog, indica una direzione, ma la cosa che più mi infastidisce è il tentativo di credere veramente da parte degli autori di stare esprimendo una guida volta ad orientare il pubblico dell’arte contemporanea.
Il fatto di proporsi come guida, già di suo indica la presenza di uno spaesamento, di un perdersi, di un aver perso la bussola. Allora la domanda diviene sempre più urgente: come mai tutto questo spaesamenteo? Perchè sentirsi necessitati dall’ avere bisogno di una guida?
Siamo cosi incapaci di cogliere il gesto artistico da aver bisogno di qualcuno che ci indichi la strada della comprensione dell’arte?
La questione si fa complessa e molto spinosa.
Fino a qualche tempo fa, per avere un orientamento, si provava a far riferimento ai mostri sacri della Storia dell’arte. Eppure anche in quella maniera, si accedeva ad un sapere codificato attraverso l’analisi storica. Siamo proprio sicuri fosse anche questa la strada corretta?
Cosa ci rimane veramente una volta adottato questo metodo storiografico?
Io credo ci venga restituita una griglia di riferimenti, certamente utili ma spesso solo approssimativi, un insieme di indicazioni che hanno il potere di far emergere questo o quell’avvenimento, non tanto in virtù dell’intrinseca bontà del singolo artista, ma dell’interesse che lo storico mostra per il singolo artista.
Vengono semplicemente in questo modo tralasciati i cosiddetti artisti minori, che finiscono per perdersi irrimediabilmente tra le onde del mare limaccioso della storia scritta da alcuni uomini.
Eugenio Borgna il tempo e la vita
Ammetto una certa trepidante attesa per questo saggio di Borgna, psichiatra finissimo e mente eccelsa, uno dei pochi che ha abbracciato insieme al compianto Bruno Callieri, la psichiatria fenomenologica in Italia.
Il saggio intende indagare il tempo, nella sua dimensione enigmatica, costitutiva, strutturale dell’esistenza, passando in rassegna il concetto di tempo da Agostino di Ippona a Sergio Corazzini, in una maniera trasversale e poetica.
Io però credo che Borgna tocchi il problema a volte in maniera un pò didascalica, ma non vada fino in fondo. Provo a spiegarmi meglio: oltre la distinzione tempo della vita, tempo dell’orologio, tempo oggettivo, tempo soggettivo, finisce per raccogliere contributi interessantissimi per una buona bibliografia sul tema ma non raggiunge il fondamento ultimo.
Un saggio che finisce per configurarsi come compilativo, con un interessante prospettiva di fede laica, con dei vivi sussulti poetici ma a mio avviso ripeto sfiora, tocca, lambisce, ma non individua.
Qualche esempio? Borgna in 205 pagine cita Heidegger in una sola occasione rifacendosi ai Concetti fondamentali della metafisica, neanche una parola su Essere e Tempo, manca un riferimento vero ad Husserl, non tocca minimamente Paci ma la cosa più difficile da capire per me è il non aver nemmeno sfirorato la II inattuale di Nietzsche.
La parte più proficua dal mio punto di vista riguarda il tempo e la psicopatologia, avendo personalmente considerato sempre l’anima che si ammala soprattutto in relazione alla propria temporalità più che alla propria corporeità (schizofrenie varie). Oltre il bellissimo e famoso lavoro di Minkowski sull’argomento, seguono elementi descrittivi, in cui personalmente non trovo le domande che mi sono sempre riproposto di indagare.
Da Borgna mi aspettavo un lavoro più rigoroso, incisivo.
Peccato Professore.
Tappeti interrotti
Il tappeto di casa che ci piaccia o meno segna una via, è l’abitudine del camminare per casa, è la direzione che segna la nostra esperienza nella vita domestica.
La limitatezza intrinseca del tappeto genera una sicurezza che non siamo disposti ad abbandonare, l’opera mostra come il percorso possa interrompersi, riflettendo da un lato sulla limitatezza del procedere esclusivamente sul tappeto, dall’altro ne mostra la forza come a dire dal tappeto riesco a scorgere il mondo mediante una prospettiva inedita.
Il giovane favoloso
Il film di Martone ha un pregio assoluto ovvero ha un piglio divulgativo che merita il massimo rispetto in questi tempi oscuri fatti di poca memoria e pessimo intelletto.
Inoltre la capacità visiva del film è un ottimo tentativo di esaltare la poesia leopardiana nella sua bellezza totalizzante.
Al di là della ricostruzione filologica, degli aspetti trascurati (impensabile provare a tradurre l’universo leopardiano in 145 minuti) il film è uno spunto di riflessione assoluto sul rapporto tra Leopardi ed il suo mondo. In particolare suscita a mio avviso interesse la possibile relazione tra la visione del mondo di Leopardi e lo stato fisico del suo corpo.
In sostanza il corpo malandato del Leopardi ha avuto un’influenza decisiva sulla costruzione del suo universo poetico? Le sue malferme condizioni di salute hanno influenzato la sua visione del mondo?
La mia risposta è certamente affermativa anche se nel film vi è un passaggio chiave in cui lo stesso Leopardi attribuisce al suo intelletto e non alla sua malattia la sua visione delle cose. In particolare dice: “non attribuite alle mie malattie ciò che è responsabilità del mio intelletto”.
In questo passaggio il Leopardi tradisce un dualismo che non si fa fatica ad attribuire alla scissione cartesiana dei res cogitans da res extensa. Ovvero la scissione dolorosa di anima e corpo.
Possiamo veramente distinguere il corpo dall’anima? Possiamo veramente tenere le due cose separate addirittura tirando fuori l’intelletto?
Caro Giacomino, tu mi hai fatto molto pianger e con diletto dico che sei sommo poeta e magistrale pensatore, ma pensare di distinguere le due cose è un errore, perchè sarebbe come chiedere ad un nano di avere la stessa visione del mondo di un uomo alto due metri e quando parlo di visione dico che il corpo del nano avrà come punto di vista una prospettiva sulle cose radicalmente diversa già solo per la sua altezza da terra!
Perchè il corpo è Leopardi e Leopardi è il suo corpo e poco altro ed in questo non ci vedo nulla di male anzi! Quella fragile corporeità ha prodotto un animo acuto, un intelletto sopraffino ed una intelligenza sublime.
Popsophia e poi?
Solo l’idea della Popsophia è inquietante, è il prodotto più puro della nostra contemporeneità, ovvero tentare di allargare l’audience di un prodotto sebbene lo si definisca culturale.
Detto questo, mi sia concesso di dire un paio di cose:
1. La filosofia non è pop, non potrà mai esserlo e solo pensare una cosa del genere è semplicemente ridicolo ed offensivo per il pensiero.
La filosofia è ricerca di senso e fondamento e semplicemente non tutti hanno questo tipo di esigenza.
2. Le semplificazioni pop sono abominevoli, la complessità non si può sempre semplificare, si finirebbe per non rendere giustizia alle cose stesse.
3. Non esiste cultura di serie A e serie B esiste cultura laddove si esprime una visione del mondo, un complesso di indicazioni che si configurano come il tentativo di orientare l’uomo nel mondo.