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Il ferroviere
Solo seduto sotto un albero a guardare la campagna e fumare. E’ stato sempre così, io così me lo ricordo.
Io d’estate passavo e mi sedevo accanto a te, tu fumavi delle sigarette senza filtro dal pacchetto verde acqua con un elegante galeone nero disegnato. Mi ricordo la fatica per distrarti e rubarti almeno una sigaretta, mi ricordo le cose che raccontavi che mi sembravano un pò strambe ma mi divertivano.
C’erano sempre treni, ferrovieri, vagoni, viaggiatori senza biglietto, donne succinte, e poi c’era il regolamento ferroviario, che per quanto assurdo mi sembrava lo seguissi alla lettera.
Rappresentava quell’esattezza che tutti avrebbero voluto conoscere di più, nero su bianco nella propria vita. Forse rappresentava la giustizia, chissà. Ad esso comunque ci si poteva appellare, aggrappare come ultimo baluardo di fronte alle incertezze totali.
Forse si trattava di semplificazioni, forse lo volevi violare solo perchè non sempre era giusto attenersi ad esso. Non saprei dire.
Fumavi, fumavi sempre.
Ammetto rimasi un pò interdetto quando capii che avevi smesso di fumare, si è vero fa male ma io so che ti piaceva e non capii mai perchè veramente hai voluto smettere.
Ti piaceva il calcio, ma soprattutto ti piaceva giocarlo da giovane, gli occhi cerulei ti si illuminavano quando raccontavi le tue prodezze mentre un sorriso sghembo lasciava intravedere i tuoi denti storti e macchiati dalla nicotina.
Che la terra adesso ti sia lieve.
ogni reazione
Ogni reazione ci dice qualcosa di chiaro sul contesto che l’ha determinata, ma ci dice veramente poco della verità del soggetto. Reagire a qualcosa è un primo passo, serve ad aprire una via, ma il resto è ancora da fare.
Dino Risi
Ho fatto un esame di coscienza. Non sono orgoglioso di me. Sono stato stupido, infedele, bugiardo, vile, ipocrita, fatuo, vanesio, indecente, annoiato, triste, invidioso, disperato. Ma anche buono, generoso, innamorato, fedele, allegro, sognatore, dubbioso, timido, ingenuo, ignorante, educato, rispettoso, onesto. Ho amato molto la natura, il mare, le donne, il cinema, il teatro, i viaggi, i libri, la musica, il vino, le fragole con la panna, gli spaghetti alla puttanesca, la cioccolata, le paste di mandorla.
Dino Risi, I miei mostri, Milano 2003
Oramai solo un Dio ci può salvare
Nel 1966 il giornale Der Spiegel intervista Heidegger nel proprio studio, l’intervista viene concessa dal filosofo solo a patto che venga pubblicata dopo la sua morte.
L’argomento è l’adesione al nazismo del filosofo con la scrittura del Discorso sulla autoaffermazione dell’università tedesca del 1933.
Sebbene nasca da questa esigenza chiarificatrice, il vero nucleo dell’intervista in realtà si rivela essere l’enunciazione del destino della filosofia ovvero della sua fine.
Tematica che viene approfondita in maniera geniale in una conferenza del 1964 La fine della filosofia ed il compito del pensiero.
L’idea che emerge in tutta la sua lucida potenza è che la filosofia è alla fine, il che non significa assolutamente che è “venuta meno” o che sia semplicemente cessata. La fine della filosofia significa l’esser pienamente giunta al suo compimento nelle sue possibilità estreme. Mostrando allo stesso tempo la grandezza del suo progetto ed il suo limite.
Le scienze hanno soppiantato la filosofia, nelle scienze la filosofia si è dissolta.
Proprio partendo da questa lucidissima presa di coscienza ne corrisponde uno scenario ben preciso ovvero che il filosofo non è più in grado di mostrare alcuna via, alcun percorso alternativo.
La tecnica ha realizzato se stessa in maniera invincibile, la filosofia non è più in grado di prospettare delle strade alternative ammesso che ve ne siano, e proprio giunti a questo punto non resta altro che accolgliere l’idea che: Oramai solo un Dio ci può salvare. Ci resta come unica possibilità quella di preparare nel pensare e nel poetare ua disponibilità all’apparizione del Dio o all’assenza del Dio nel tramonto.
still life
Still life ha una narrazione lieve, fatta di piccoli dettagli apparentemente insignificanti che assumono agli occhi del protagonista un significato intenso. La vita dell’impiegato comunale interpretato da uno stupefacente Eddie Marsan è fatta di gesti monotoni e rassicuranti, ordine maniacale, solitudine ed una vita apparentemente insignificante. Si perchè il nostro impiegato comunale ha preferito occuparsi dei morti, più che dei vivi percorrendo un’esistenza asciutta, un lungo collezionare ricordi di vite non proprie. Il suo lavoro è infatti rintracciare i parenti dei defunti che hanno vissuto ai margini della società, disadattati, alcolisti, tossici che per ragioni diverse sono morti da soli o al massimo in compagnia del proprio gatto.
Certamente si percepisce un eco beckettiano ed a tratti non si può non pensare al Sig. Josè di Tutti i nomi di Saramago, ma il filo conduttore non è semplicemente la monotonia dell’attività impiegatizia, bensì il tentativo di dare un senso alla propria vita, desertica ed ammantata da un vuoto assoluto.
La questione quindi diviene non tanto quanto tempo si viva, ma cosa si è fatto del proprio tempo, e soprattutto quanto si è sentito la vita.
9 Agosto 378
La battaglia di Adrianopoli segna senza ombra di dubbio un colpo profondo ad una creatura agonizzante quale era oramai l’impero romano. A scuola ci hanno comunemente insegnato che la fine dell’impero romano è segnata dal 476 d.C. con la deposizione dell’imperatore romano d’occidente Romolo Augustolo. Ogni periodizzazione ha come sempre, più la funzione di semplificare il racconto storico che tentare di restituire la verità dei fatti.
Insomma la caduta dell’impero romano per dirla con le parole del sommo Arnaldo Momigliano fu una caduta che non fece alcun rumore, proprio perchè si trattò di un declino lento e non di una frattura immediata.
Guardando da vicino e con attenzione viene subito alla mente che i confini tra le epoche non sono così netti, che in realtà i barbari erano al servizio dell’impero romano con funzioni militari da almeno un secolo e l’idea di una popolazione barbarica che spinge sulle frontiere ed invade l’impero creandone la dissoluzione è una favola buona per essere raccontata in televisione.
La verità è che i barbari erano parte integrante dell’impero, che copiosissimi erano i goti al servizio dell’impero, e soprattutto che in quella famosa battaglia del 9 agosto 378, a fronteggiarsi erano solo formalmente i romani ed i goti, si perchè in realtà le truppe romane erano composte per lo più da barbari che facevano parte in pianta stabile delle truppe liminari da innumerevole tempo.
Esattamente come per il sacco di Roma del 410 da parte del magister militum (dell’impero romano d’occidente) Alarico che non dobbiamo immaginare come uno scapestrato che discende in Italia per saccheggiarla, ma come un personaggio che 10 anni prima era stato nominato appunto magister militum e che era in forze all’impero romano d’occidente.
Senza contare il fatto che già un secolo prima e per la primissima volta, Roma si era munita di solide mura volte a proteggerla costruite dall’imperatore Aureliano (275 d.C.), non bastavano più infatti le Alpi a difenderla e probabilmente del vallum antonini del 144 d.C. restava solo un cumulo di macerie a memoria di un apprestamento difensivo in britannia.