filosofia

la filosofia

“L’esserci del cui essere ne va dell’essere” M. Heidegger

Se c’è una cosa che proprio non riesco a capire è l’approssimazione con cui spesso ci si rivolge alla filosofia nei discorsi quotidiani. Persino persone intelligenti incappano nella medesima visione che considera la filosofia come
qualcosa di poco concreto, astratto, astruso, lontano della realtà etc. etc.

Ammetto di rimanere sempre sorpreso ed amareggiato a volte, nel sentir procedere le persone per semplificazioni che non rendono giustizia alla complessità delle cose. La banalizzazione benchè necessaria, a volte finisce per appiattire il significato e trascurare quanto di vivo ed interessante c’è nelle cose stesse.

La filosofia però, non ha nulla a che vedere con la mancanza di concretezza, con una perdita di tempo, come una vuota astrazione senza fine, anzi ha un carattere estremamente concreto, pratico.
Prima di tutto perchè nel discorso filosofico si parla di te, non dell’uomo in astratto, ma di te stesso in rapporto con il tuo tempo, gli altri ed il mondo.
In seconda battuta, la presunta mancanza di concretezza si combatterebbe con la supremazia del dato, attraverso un approccio quantitativo rispetto alle cose che però non ci fornisce alcun supporto rispetto alle problematiche di senso.
Sebbene si possa spiegare un fenomeno come la morte attraverso un’analisi bio chimica di quello che accade all’organismo che va incontro alla morte, quest’analisi non ci fornisce alcuna forma di rassicurazione rispetto al nostro destino, attaccarsi alle solide rocce della ragione semplicemente non basta.

Infine pensare che i filosofi siano dei semplici “facitori di parole” è un errore grossolano. Basti pensare a personaggi del calibro di Bruno o Giulio Cesare Vanini, oppure Benjamin che hanno pagato con la vita le proprie idee che erano esse stesse questione di vita. Oppure come Platone che nel tentativo di mettere in pratica l’ideale della repubblica non ha esitato a navigare verso Siracusa per 3 volte convinto di poter mettere in pratica il proprio progetto.

La filosofia è una questione di vita, cosa ancor più seria, è una questione che riguarda la propria vita.

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il destino

« Il carattere di un uomo è il suo destino » (Eraclito, frammento 119 Diels-Kranz)

Certamente l’idea di un disegno superiore, di qualcosa di tracciato a monte, ha carattere rassicurante, il tentativo di provare a dare un senso al divenire, la possibilità di spiegare l’accadere. Al di là di qualsiasi forma di religione che mi interessa poco, comprendo l’umana necessità di provare almeno a ricondurre l’inspiegabile a qualcosa che abbia senso.
La comprensione si sà non ha carattere giustificativo ma solo esplicativo, comprendere non significa spiegare!
Inutile dire che è semplicissimo spostare l’asse delle proprie azioni ad un quadro altro che è quello del cosiddetto segno del destino. Azioni ed intenzioni si fondono, in un paradigma perfetto per essere raccontato.

La verità è che il caso è cieco, l’accadere è senza senso, e per quanto ci possiamo sforzare di dare un senso a ciò che accade in maniera totalmente non ragionevole, ogni tentativo è fine a se stesso.
Il disegno semplicemente non esiste. Siamo capaci di fronteggiare questa realtà?
Siamo disposti a sottostare al cieco accadere?
Possiamo sostenere la mancanza di qualsiasi intenzionalità nello svolgersi del caso?

Io credo che le onde vivificatrici della vita ci debbano far gioire di quest’assenza di disegno, che possiamo fare a meno di un fine solo se questa condizione ci soddisfa.

Tutto il resto è solo chiacchiericcio informe.

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il fulmine governa ogni cosa

«Il fulmine governa tutte le cose» Eraclito, Frammenti, 64 (Edizione Diels-Kranz)

La lettura heideggeriana prevede che l’essere non sia determinabile come sono determinabili le cose del mondo, anche il linguaggio viene meno, perde la sua potenza individuante.
Proprio perchè il linguaggio è rappresentativo di strutture di pensiero (il linguaggio è la casa dell’essere– m.heidegger) ci troviamo davanti ad una intrinseca incapacità anche del pensiero di far fronte al problema.
L’essere recuperando il significato pre-socratico, evidentemente parmenideo, si rivela solo mediante una fugace illuminazione. Esattamente come il bagliore di un fulmine che squarcia l’oscurità per una frazione di secondo, fende l’essere mostrandolo nelle sue fattezze.

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l’errore della medicina

Il più grande errore che si possa commettere nel tentativo di conoscere un territorio è scambiare la mappa geografica del territorio con il territorio stesso. Sebbene la capacità rappresentativa si nutra di eccezionali strumenti tecnologici restituirà in maniera solo approssimativa le caratteristiche dei luoghi.

La cosidetta scienza, fa benissimo a procedere in questa maniera, l’errore è nostro che nutriamo verso di essa una fede smisurata. E come ogni fede si nutre della nostra emotività, più che della ragione. Ma sappiamo benissimo che quando la scienza medica prova ad indagare l’emotività fallisce miseramente, proponendoci al massimo dei banali palliativi.

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Agonia del sacro

Nel 1942 Benedetto Croce scrive un breve saggio dal titolo eloquentissimo: Perché non possiamo non dirci cristiani.
Le argomentazioni in esso contenute sono mirabili ed ineccepibili. Il cristianesimo ha permeato in maniera così profonda le coscienze dell’occidente, che è veramente impossibile essere riusciti a sfuggirne.
Inutile dire che il cristianesimo ha sapientemente sfruttato argomentazioni filosofiche molto antecedenti, per dare struttura ad un pensiero inizialmente povero di teoresi.
Sicuramente è stato utilizzato Platone (con una evidentissima forzatura) e la sua teoria delle idee per dare forza ad un ordine sovrasensibile a dispetto dell’ordine che possiamo definire sensibile.

Eppure Nietzsche nella Gaia Scienza (passo n. 125) del 1882 in maniera così chiara pronuncia una profezia folgorante:
“Non avete mai sentito parlare di quell’uomo pazzo che, in pieno mattino, accesa una lanterna, si recò al Mercato e incominciò a gridare senza posa: «Cerco Dio! Cerco Dio!» Trovandosi sulla piazza molti uomini non credenti in Dio, egli suscitò in loro grande ilarità. Uno disse: «L’hai forse perduto? », e altri: «S’è smarrito come un fanciullo? Si è nascosto in qualche luogo? Ha forse paura di noi? Si è imbarcato? Ha emigrato?»
…… A questo punto l’uomo pazzo tacque e fissò nuovamente i suoi ascoltatori; anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Quindi gettò a terra la sua lanterna che andò in pezzi spegnendosi. «Vengo troppo presto, disse, non è ancora il mio tempo.»

Questa sentenza, come suggerisce Heidegger in uno dei suoi celebri “Sentieri interrotti” oltre ad avere un carattere eminentemente profetico, finisce per descrivere il tramonto di un sistema di valori, ovvero la fine di una prospettiva, di un angolo visuale che pretendeva di osservare e comprendere il mondo.

A 131 anni dalla profezia di Nietsche, possiamo negare questa intuizione che forse all’epoca sembrò stravagante?
«Che sono ormai piú le chiese se non le tombe e i sepolcri di Dio?»

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vanità

“Non sapevo che fosse così difficile morire. Durante tutta la vita mi sono sforzato di eliminare qualsiasi vanità. E proprio adesso che ho percorso tutta la strada, cosciente e responsabile dei miei compiti, adesso che con le conferenze di Vienna e di Praga, per la prima volta sono riuscito a rifarmi soltanto a me stesso del tutto spontaneamente e ho messo le basi di un piccolo inizio, ecco, devo interrompermi e lasciare il mio compito inadempiuto. Proprio adesso, alla fine, adesso che sono finito, so che dovrei ricominciare da capo”.

Edmund Husserl 27 aprile 1938.

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Lettera di Husserl a Löwith

“Forse Lei comprenderà che Scheler, Heidegger e così tutti gli ‘allievi’ di una volta, non hanno compreso il senso vero e profondo della fenomenologia – il suo senso trascendentale che è l’unico possibile – e tutto ciò che esso implica. Certo, non è facile impossessarsi di questo significato, ma io credo che valga la pena di tentare. Forse Lei riuscirà a comprendere che io, non per ostinazione, ma seguendo un’intima necessità, ho percorso da solo il mio cammino per così tanti anni – un cammino che io sostengo in una nuova dimensione di domande e di risposte – e per quale motivo abbia ritenuto che l’oscuro misticismo della filosofia esistenziale alla moda e del relativismo storicistico, con la sua pretesa superiorità sono il fiacco fallimento di una umanità divenuta priva di forze, che si è sottratta all’enorme compito che il crollo dell’ ‘età moderna’ nella sua totalità poneva ad essa e che ancora pone: a noi tutti.”

(Lettera di E. Husserl a K. Löwith, Febbraio 1937)

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