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La vita di Adele

Questo film ha un grande merito, l’aver esaltato la corporeità come dimensione autentica dell’essere a tal punto che il film si sarebbe potuto chiamare tranquillamente Il corpo di Adele.
Si perchè in realtà Adele vive mediante il proprio corpo più che con i propri sentimenti ed emozioni.
Mangia in continuazione e in maniera vorace, intensa ed istintuale.

Vive la propria corporeità come liberazione del proprio modo di essere, cerca la sua strada nel mondo proprio attraverso il corpo. Il suo amore ha consistenza fisica prima di ogni altra cosa, il suo corpo galleggia nell’acqua consentendole di stare a galla, quando tutto sembra sprofondare nell’abisso.
I suoi sentimenti sono ingarbugliati, incerti, intensi e certamente complicati, ma il suo corpo procede in maniera quasi separata, come se non fosse semplicemente espressivo di scenari profondi, ma fosse capace di dischiudere una verità intima irrinunciabile.

Infine nel film non ci sono cellulari, nè sms nè facebook, come anche qui forse a dimostrare la necessità di un rapporto diretto, fisico, non mediato dalla tecnologia.

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Lucida chiarezza

Poche cose sono fastidiose come la mancanza di chiarezza.
Si può certo procedere a tentoni come accade strisciando in un cunicolo, quella sarebbe certamente la modalità di percorrere sentieri nuovi, a patto che non si proceda per percorsi di cui si conosce già la fastidiosa meta.
Che senso avrebbe quindi imboccare sentieri che conducono a strade che non si vuole percorrere?
Non è necessario batterle tutte prima di fermarsi, capirlo e cambiare direzione.
Quale dispiego di energie, risorse questo sarebbe!!
Eppure si ha sempre l’impressione che lo scenario possa cambiare, che il cunicolo poi non è così oscuro, che la meta possa sembrare diversa da qualla che ci si aspettava.

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filosofia

la filosofia

“L’esserci del cui essere ne va dell’essere” M. Heidegger

Se c’è una cosa che proprio non riesco a capire è l’approssimazione con cui spesso ci si rivolge alla filosofia nei discorsi quotidiani. Persino persone intelligenti incappano nella medesima visione che considera la filosofia come
qualcosa di poco concreto, astratto, astruso, lontano della realtà etc. etc.

Ammetto di rimanere sempre sorpreso ed amareggiato a volte, nel sentir procedere le persone per semplificazioni che non rendono giustizia alla complessità delle cose. La banalizzazione benchè necessaria, a volte finisce per appiattire il significato e trascurare quanto di vivo ed interessante c’è nelle cose stesse.

La filosofia però, non ha nulla a che vedere con la mancanza di concretezza, con una perdita di tempo, come una vuota astrazione senza fine, anzi ha un carattere estremamente concreto, pratico.
Prima di tutto perchè nel discorso filosofico si parla di te, non dell’uomo in astratto, ma di te stesso in rapporto con il tuo tempo, gli altri ed il mondo.
In seconda battuta, la presunta mancanza di concretezza si combatterebbe con la supremazia del dato, attraverso un approccio quantitativo rispetto alle cose che però non ci fornisce alcun supporto rispetto alle problematiche di senso.
Sebbene si possa spiegare un fenomeno come la morte attraverso un’analisi bio chimica di quello che accade all’organismo che va incontro alla morte, quest’analisi non ci fornisce alcuna forma di rassicurazione rispetto al nostro destino, attaccarsi alle solide rocce della ragione semplicemente non basta.

Infine pensare che i filosofi siano dei semplici “facitori di parole” è un errore grossolano. Basti pensare a personaggi del calibro di Bruno o Giulio Cesare Vanini, oppure Benjamin che hanno pagato con la vita le proprie idee che erano esse stesse questione di vita. Oppure come Platone che nel tentativo di mettere in pratica l’ideale della repubblica non ha esitato a navigare verso Siracusa per 3 volte convinto di poter mettere in pratica il proprio progetto.

La filosofia è una questione di vita, cosa ancor più seria, è una questione che riguarda la propria vita.

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filosofia

il destino

« Il carattere di un uomo è il suo destino » (Eraclito, frammento 119 Diels-Kranz)

Certamente l’idea di un disegno superiore, di qualcosa di tracciato a monte, ha carattere rassicurante, il tentativo di provare a dare un senso al divenire, la possibilità di spiegare l’accadere. Al di là di qualsiasi forma di religione che mi interessa poco, comprendo l’umana necessità di provare almeno a ricondurre l’inspiegabile a qualcosa che abbia senso.
La comprensione si sà non ha carattere giustificativo ma solo esplicativo, comprendere non significa spiegare!
Inutile dire che è semplicissimo spostare l’asse delle proprie azioni ad un quadro altro che è quello del cosiddetto segno del destino. Azioni ed intenzioni si fondono, in un paradigma perfetto per essere raccontato.

La verità è che il caso è cieco, l’accadere è senza senso, e per quanto ci possiamo sforzare di dare un senso a ciò che accade in maniera totalmente non ragionevole, ogni tentativo è fine a se stesso.
Il disegno semplicemente non esiste. Siamo capaci di fronteggiare questa realtà?
Siamo disposti a sottostare al cieco accadere?
Possiamo sostenere la mancanza di qualsiasi intenzionalità nello svolgersi del caso?

Io credo che le onde vivificatrici della vita ci debbano far gioire di quest’assenza di disegno, che possiamo fare a meno di un fine solo se questa condizione ci soddisfa.

Tutto il resto è solo chiacchiericcio informe.

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ah ah ah, too much...

La Feltrinelli è finita

feltrinelli

Feltrinelli Corso Buenos Aires, Milano.
Si sa, l’industria del libro è in grossa crisi, ma non per l’avvento di internet, degli ebook etc etc, ma semplicemente perchè si è compiuta pienamente l’eta della tecnica, ha vinto il saper far di conto, la pseudo scientificità dei saperi, ragion per cui stanno scomparendo i libri, in una contrazione che mi sembra una mutilazione bella e buona.

La Feltrinelli punta su RED ovvero Read Eat Dream, in sostanza l’istallazione di bar e ristoranti nei punti vendita per correre ai ripari insomma mangiare mangiare mangiare.
Le università sono alla fame assoluta, si registra in italia -27% di immatricolazioni nelle facoltà umanistiche e solo a Milano sono raddoppiate le domande per entrare nella facoltà di Ingegneria.

Insomma la situazione le è quel che le è, ma c’è una cosa che non riesco a mandare giù.
Trovo istallato in una Feltrinelli a Milano un espositore che propone oggetti atti al culto buddista: Kingo, your buddhist lifestyle, sobbalzo, mi avvicino e trovo che c’ è proprio tutto, candele, altarini etc etc. dove lo istallano? Secondo una pietosa azione di marketing nella sezione filosofia!
Tutto questo oltre che del tutto inefficace dal punto di vista della vendita, è la rappresentazione concreta della banalizzazione massima che si possa fare sia della filosofia che del buddismo.

Come se Cartesio o Spinoza avessero qualcosa in comune con il buddismo, io proprio spero chiudano queste benedette feltrinelli, abbiano il coraggio di fare ristoranti alla eatitaly e basta.

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emotional landscapes, passato

La miniera di Ponza

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Nel 1937 iniziò l’estrazione della bentonite a Ponza ad opera della S.A.M.I.P. (Società Mineraria Isole Pontine), i giacimenti furono attivi per circa 40 anni, portando occupazione, ricchezza, lavoro, ma la miniera sfigurò l’isola, creando cave a cielo aperto, ed infine alcune case furono oggetto di espropri forzosi ad opera della prefettura di Latina. Sebbene il Prof. Ernesto Prudente abbia in numerosi suoi scritti raccontato bene questo lato oscuro della presenza della S.A.M.I.P e delle conseguenze per l’isola di Ponza, io ho deciso di intervistare una donna che non solo era presente all’epoca dei fatti, ma che ebbe persino una sorella che fu costretta a lasciare l’isola perchè la sua casa fu oggetto di un esproprio.

Al contrario di quello che immaginavo, ne emerge un racconto fatto di rammarico e dispiacere per la chiusura della miniera.

Un grazie di cuore alla Sig.ra Ninetta!

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too much...

L’ananas

Io ero pessimista nei confronti dell’ananas, non l’ho mai sopportato, non mi ha mai ispirato, poi un bel giorno non so bene per quale alchimia mi è piaciuto, ed anche tanto.
La diatriba è antica, il tempo cambia il corpo e la propria mente, la verità è hegelianamente in cammino, eppure io sono convinto che esiste una irriducibile profonda ossatura immodificabile.

Per quanto si possa essere animati da speranze di cambiamento, non è il mio caso, bisogna fare i conti con quel residuo, quello zoccolo duro, quella struttura originaria, certamente mediata dall’esperienza della vita.

Insomma si cambia certamente, ma non fino in fondo, con tutte le conseguenze del caso.

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too much...

Apprezzabile frammento osseo

Arriva un momento in cui ti chiamano in una stanza grande con tanti uomini in camice bianco, c’è un silenzio irreale, ti mostrano una radiografia (non su lastra oramai il digitale ha reso obsoleto pure le lastre) su di uno schermo di un computer.
C’è una frazione di osso che ha ceduto si è staccata dal suo corpo principale e a volte si muove.

Io non mi sono spaventato, mi sono solo reso conto che non è tanto complesso morire.

Vivamente consigliato Non chiamare il dottore

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