Still life ha una narrazione lieve, fatta di piccoli dettagli apparentemente insignificanti che assumono agli occhi del protagonista un significato intenso. La vita dell’impiegato comunale interpretato da uno stupefacente Eddie Marsan è fatta di gesti monotoni e rassicuranti, ordine maniacale, solitudine ed una vita apparentemente insignificante. Si perchè il nostro impiegato comunale ha preferito occuparsi dei morti, più che dei vivi percorrendo un’esistenza asciutta, un lungo collezionare ricordi di vite non proprie. Il suo lavoro è infatti rintracciare i parenti dei defunti che hanno vissuto ai margini della società, disadattati, alcolisti, tossici che per ragioni diverse sono morti da soli o al massimo in compagnia del proprio gatto.
Certamente si percepisce un eco beckettiano ed a tratti non si può non pensare al Sig. Josè di Tutti i nomi di Saramago, ma il filo conduttore non è semplicemente la monotonia dell’attività impiegatizia, bensì il tentativo di dare un senso alla propria vita, desertica ed ammantata da un vuoto assoluto.
La questione quindi diviene non tanto quanto tempo si viva, ma cosa si è fatto del proprio tempo, e soprattutto quanto si è sentito la vita.